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Pride Month: tra arcobaleni e retorica, la Provincia si colora per un mese. Ma a che prezzo?

by Massimiliano Maglione

BOLZANO – Anche quest’anno la Provincia di Bolzano aderisce al Pride Month, il mese dedicato al riconoscimento e alla visibilità dei diritti della comunità LGBTQIA+. Lo fa con bandiere arcobaleno, ingressi istituzionali colorati e dichiarazioni pubbliche che parlano di inclusione, libertà e uguaglianza. Ma è davvero tutto così semplice?

Il presidente Arno Kompatscher lo ha detto chiaramente: “Il Pride Month è sinonimo di apertura, uguaglianza, inclusione e libertà dell’individuo”. Eppure, dietro queste parole e le scenografie multicolori, si nascondono interrogativi più profondi: è giusto che un’istituzione pubblica esponga simboli legati a specifiche identità o ideologie? E quanto è autentico questo impegno?

Simboli o propaganda?

Il timore, sempre più diffuso anche tra i cittadini, è che queste iniziative si riducano a forme di comunicazione politica “a effetto”, più simili a campagne pubblicitarie che a scelte coerenti con politiche pubbliche concrete. A chi giova tutto questo? Alla comunità LGBTQIA+, davvero? Oppure a chi vuole mostrarsi moderno e “inclusivo” senza affrontare i veri nodi sociali e culturali?

Ci si chiede se il compito delle istituzioni sia davvero quello di promuovere modelli identitari – anche legittimi – o se invece non dovrebbero restare neutre, garantendo diritti a tutti ma evitando prese di posizione che rischiano di dividere l’opinione pubblica.

Inclusione o imposizione?

Il Pride Month nasce con l’intento di contrastare l’omofobia e la discriminazione. Nessuno mette in discussione il diritto alla dignità e alla libertà individuale. Ma quando le istituzioni si spingono oltre il piano dei diritti e iniziano a “celebrare” stili di vita, orientamenti o identità, senza un vero dibattito democratico, si entra in un terreno scivoloso.

L’omosessualità, l’identità di genere fluida, la visione non binaria della società sono temi complessi, che toccano anche la sfera educativa, culturale e familiare. Possono davvero essere ridotti a una bandiera arcobaleno fuori da un ufficio pubblico?

Dove finisce la sensibilizzazione e dove comincia l’ideologia?

Molti cittadini si interrogano: serve davvero colorare i palazzi pubblici per combattere l’omofobia? O si rischia di trasformare una battaglia di civiltà in un esercizio di marketing sociale? Che messaggio diamo ai giovani, ai genitori, alle scuole? L’inclusione può diventare imposizione culturale, se non è accompagnata da rispetto, confronto e pluralismo.

Il Pride Month potrebbe – e dovrebbe – essere un’occasione per discutere seriamente di questi temi, anche in modo critico. Non per esporre adesivi e slogan, ma per aprire un dialogo vero su identità, differenze, rispetto e convivenza.

Conclusione: una bandiera può rappresentare tutti?

L’arcobaleno sventola in Provincia, ma non tutti si sentono rappresentati. E non perché siano contro qualcuno, ma perché avvertono il bisogno che le istituzioni siano inclusive di tutti, anche di chi non si riconosce in queste narrazioni dominanti.

Forse, più che colori sui muri, servirebbero parole autentiche, spazi di confronto e scelte politiche meno scenografiche e più sostanziali. Perché la vera inclusione non si fa con le bandiere, ma con il rispetto concreto delle differenze. Tutte.

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