Dopo il rifiuto della fascia tricolore durante la cerimonia di insediamento, la sindaca di Merano finisce al centro di un’ondata di insulti. E ora annuncia azioni legali. Urzì (FdI): “È lei a provocare”.
MERANO – Dopo giorni di silenzio, la sindaca Katharina Zeller rompe gli indugi e annuncia di non essere più disposta a tollerare l’ondata di commenti d’odio piovuti su di lei via social. Al centro della polemica, il gesto che ha segnato il suo insediamento a Merano: il rifiuto di indossare la fascia tricolore durante il passaggio di consegne con l’ex sindaco Dario Dal Medico. Una scelta che ha suscitato indignazione in ampi settori dell’opinione pubblica e che ha scatenato un’ondata di insulti e attacchi personali.
“Ora basta”, ha dichiarato Zeller, spiegando che “internet non è un territorio senza legge” e annunciando di voler denunciare gli hater. “Chi scrive certe cose dovrà risponderne davanti alla giustizia”, ha aggiunto la prima cittadina, che invita anche le forze politiche a non alimentare il clima d’odio.
Un appello che Zeller rivolge soprattutto a Fratelli d’Italia, puntando il dito contro alcuni post pubblici – e i relativi commenti non moderati – da parte di esponenti del partito di destra, che avrebbero contribuito ad accendere ulteriormente gli animi. “I partiti hanno il dovere di non fomentare l’odio”, ha detto, citando anche il caso della consigliera provinciale dei Verdi, Brigitte Foppa, che a sua volta ha sporto denuncia in situazioni simili.
Non si è fatta attendere la replica di Alessandro Urzì, parlamentare e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, che ha ribaltato le accuse: “La sindaca Zeller – ha detto – usa lei stessa un linguaggio divisivo e inappropriato sui social. Non è certo un esempio di moderazione”. Urzì ha ricordato, in particolare, le congratulazioni espresse da Zeller alla consigliera meranese Ilena Nero, dopo la sua uscita da Fratelli d’Italia, accompagnate da dichiarazioni fortemente critiche verso il partito.
Nel frattempo, la polemica sulla fascia tricolore continua ad alimentare il dibattito cittadino e provinciale. E ora rischia di spostarsi anche nelle aule di tribunale.
