Bolzano, 29 settembre – Portare alla luce una realtà invisibile, spesso nascosta dietro le mura domestiche, ma che coinvolge individui, famiglie e comunità intere: è stato questo l’obiettivo del convegno “Vite Sommerse. Tra invisibilità, disturbo e trattamento”, svoltosi lunedì presso il centro di ricerca Eurac Research.
L’iniziativa, promossa dall’ASSB e dall’Associazione La Strada – Der Weg con il sostegno della Provincia autonoma di Bolzano, ha rappresentato una rara occasione di confronto e sensibilizzazione sul tema della disposofobia, più conosciuta come “disturbo da accumulo”.
Dalle 9 alle 16, esperti nazionali e internazionali, operatori del settore e professionisti dei servizi territoriali – tra cui rappresentanti di IPES, Servizio Igiene, ASSB e Azienda Sanitaria – hanno condiviso esperienze, analisi e riflessioni attorno a una problematica che, pur toccando trasversalmente persone e contesti sociali, resta ancora poco discussa e spesso stigmatizzata.
La casa come specchio del disagio
Uno dei temi centrali è stato il degrado abitativo, conseguenza diretta della disposofobia: ambienti sovraccarichi e insalubri non solo rendono difficile l’intervento degli operatori, ma minacciano la sicurezza stessa di chi li abita. “La casa diventa specchio del disagio – è emerso nel dibattito – e allo stesso tempo un amplificatore di isolamento, vergogna e rifiuto dell’aiuto esterno”.
Il nodo della fiducia e l’esperienza oltreconfine
Durante il convegno sono intervenute anche professioniste austriache, che hanno presentato modelli e opportunità di intervento adottati nel loro territorio. In tutti i contesti, è stato sottolineato come il tema della fiducia sia un ostacolo cruciale: chi soffre di disposofobia vive spesso sentimenti di vergogna che ostacolano l’apertura verso percorsi di cura e supporto.
Gruppi di auto aiuto e testimonianze personali
Spazio anche ai gruppi di auto aiuto presenti in Alto Adige, realtà fondamentali per offrire sostegno e ridurre l’isolamento sociale. Tra i momenti più intensi della giornata, le testimonianze dirette di chi convive quotidianamente con la disposofobia: racconti profondi e toccanti che hanno messo in luce il legame emotivo con gli oggetti accumulati. “Ogni cosa conservata – è stato detto – rappresenta un frammento di memoria, una protezione contro il vuoto, una difesa dal dolore”.
Un primo passo verso strategie comuni
Il convegno ha tracciato un percorso importante: dalla sensibilizzazione all’avvio di reti di supporto integrate. Dare voce a chi spesso non viene ascoltato e creare uno spazio di dialogo interdisciplinare sono stati riconosciuti come passi fondamentali per costruire strategie di prevenzione e intervento più accessibili, inclusive e rispettose della complessità del fenomeno.